Mi ricordo l’Urea. I danni dei fertilizzanti azotati
Stavo seduta in attesa dell’agronomo. Sul poggio di Tarquinia, scorgevo il mare in lontananza e appena sotto i campi coltivati dagli agricoltori che avrei incontrato poco tempo dopo. Non sapevo dell’università agraria della Tuscia e sapevo poco dell’uso di fertilizzanti e agrofarmaci, però la mia strada era già iniziata.
Dal macello sottostante si alzavano lamenti… non sapevo nemmeno che si usava quel sangue per fare concimi.
Sul tavolo un pc portatile, me lo avevano messo lì gli amici che dicevano mi desse un tono, dato che all’epoca non ce n’erano in giro. E poi, eccolo spuntare, l’agronomo tra i roseti: spina con spina.
Mi stringe la mano, si siede, veloce prende la scheda tecnica e … obiezione: “come fa a funzionare se non c’è dentro azoto?!”
Era un esperto nel campo della cerealicoltura, ma non sapeva nulla dei processi naturali. Più che come avviene la fissazione dell’azoto era fissato sull’azoto. Certo non era disponibile a considerare l’innovativa tecnologia dell’energia di Mendini e le trasformazioni che le piante mettono in atto per ricavarsi le sostanze necessarie.
Sicuramente sapeva tutto sul processo di Haber-Bosch (il procedimento attraverso il quale l’azoto atmosferico gassoso viene fatto reagire con idrogeno per produrre ammoniaca, componente alla base della sintesi dei fertilizzanti azotati) perché mi parlò dell’urea e del nitrato ammonico.
Fu allora che le mie reminiscenze scolastiche affiorarono: l’urea deriva dalla trasformazione organica dell'ammoniaca … In sostanza è il prodotto finale del metabolismo animale eliminato con le urine.
Nella chimica industriale la reazione di ammoniaca e anidride carbonica produce l’urea per l’industria agricola. Insomma, l’urea è il fertilizzante azotato più comunemente usato. Nel mondo sono prodotte oltre 200 milioni di tonnellate annue!
Quindi, chiediamoci ironicamente: la resilienza al climate change può passare dall’urea?
Mi sembra fin impossibile, eppure il gota della chimica sembra essere sordo o quantomeno distante, troppo distante, dal mondo dei flussi magnetici. Eppure, la chimica di Madre Natura nasce da questo tipo di energia.
Precursori della magnetochimica
I flussi magnetici sono i precursori della magnetochimica, che pur se poco conosciuta e men meno compresa, risale a 100 anni fa. La magnetochimica studia la relazione tra le proprietà chimiche e le proprietà magnetiche delle sostanze, mentre i flussi magnetici determinano le sostanze.
Il salto che ci ha portato la scoperta Mendini è grande, ma soprattutto necessario. Riguarda appunto il passaggio dalla chimica (peraltro evoluta in biochimica, magnetochimica, elettrochimica, etc.) all’energia, quale fonte della materia e imprescindibile mezzo correttivo delle perturbazioni di origine antropica, ossia dei nostri errori umani.
La conoscenza della trasformazione della materia fa capo all’alchimia, ma quanti secoli sono trascorsi dal più recente mondo alchemico medioevale alla chimica “moderna” di Lavoisier (fine ‘700)? Quanti ne dovremmo attendere per questo ulteriore passaggio dalla chimica contemporanea all’energia dei flussi magnetici?
Il fatto è che dobbiamo accelerare, non possiamo permetterci una lenta evoluzione. Percepiamo l’accelerazione della vita e ne dobbiamo stare al passo. La nostra esistenza è come una dinamo e il denaro ed il potere dell’uomo sono la resistenza: minore è l’attrito maggiore è l’energia evolutiva che si libera.
Dalla sezione aurea all’urea. Dall’oro alla pipì.
A proposito di evoluzione, dobbiamo riconoscere che la spirale logaritmica, dal punto di vista geometrico, scende prima di salire o se vogliamo si allontana dal centro prima di raggiungerlo. Forse per questo l’alchimista esordiente chimico Henning Brand nel 1669, convinto che l’oro potesse essere distillato dall’urina umana, in un certo verso anticipò la curva discendente dei nostri tempi … divenendo precursore dei fertilizzanti chimici azotati.
Chiunque abbia fatto gli esami del sangue, riconosce il termine azotemia, ma forse non sa che si tratta proprio dell’urea e della relativa funzionalità renale, ossia di pericolose quantità di sostanze azotate che se non espulse attraverso le urine si accumulano nel sangue. Questa “sintesi naturale dell’urea” fu fonte di una singolare esperienza che mi turbò in tenera età: ogni giorno mia nonna urinava stando in piedi nell’orto, allargava le gambe e da sotto le lunghe vesti scendeva l’oro di Henning Brand. Il bagno non mancava e non era pigrizia. Era una pratica rozza di fertilizzazione che allora i nonni potevano permettersi. Sì, perché a quei tempi vivevano senza farmaci.
Non so se l’urea di mia nonna era meglio dell’urea dei fertilizzanti azotati, ma sicuramente non è quello che oggi passa dall’ambiente e arriva alla nostra tavola a farmi felice. E voi cosa dite? Barèa?!
Urea fa rima con Barea
Vogliamo dare l’idea di qualcosa che ci fa molto schifo? Basta una parola a indicare il disgusto: «Barèa!» Barea perché fa rima con Urea. Un termine dialettale che voglio usare per aprire un focus sul processo di acidificazione delle acque e dei suoli.
Il processo di acidificazione delle acque e dei suoli causato dalla saturazione di azoto nell’ambiente provoca grandi problemi agli ecosistemi, perdita della biodiversità ed una evidente crisi climatica derivante dalla concentrazione della CO2 e dal riscaldamento globale. È la conseguenza di lunghi anni di:
- emissione di sostanze acidificanti in atmosfera (nitrati, solfati ed altri inquinanti) principali responsabili dei processi di acidificazione delle precipitazioni e del deperimento vegetale (v. moria delle piante anche a livello boschivo)
- degradazione delle sostanze organiche (v. azoto ammoniacale) e degli inquinanti ambientali (metalli pesanti e pesticidi vari) con conseguente alterazione del ciclo dei nutrienti
- uso di fertilizzanti azotati come l’urea e di fertilizzanti chimici di sintesi per la coltivazione dei terreni e dei prodotti agricoli che arrivano sulle nostre tavole.
Sono queste, le sostanze che hanno creato danni ossidativi tali da far morire le barriere coralline dei nostri oceani, le sostanze prodotte dall’industria petrolifera e dall’industria farmaceutica madri dell’industria agricola, le sostanze che l’immaginario comune identifica con qualcosa di pericoloso e nocivo; le sostanze che, per usare le parole di Mario Tozzi, “hanno irrimediabilmente condannato intere regioni della Terra alla morte chimica” ed “hanno prodotto disastri ecologici a scala globale”.
Non sarebbe la prima volta, ma sarebbe l’ultima
Non sarebbe la prima volta, che l’uomo deve fare i conti con una estinzione di massa, basti pensare all’estinzione tra la fine del Permiano e l’inizio del Triassico, ma a dirla con Mendini questa sarebbe davvero l’ultima. Perché quando il danno si allarga ad altre regioni dell’universo, bisogna fare come con un ramo malato… si taglia. E allora l’innovazione di questa tecnologia extraplanetaria che ci è stata portata per il nostro benessere, diverrebbe solo un mezzo di soccorso nel guado.
E l’urea? Solo un triste ricordo della nostra follia, della nostra disperazione.