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L’eredità delle monocolture

L’eredità delle monocolture

12 ottobre 2023 - Silvana Zambanini

Come le bibliche Piaghe d’Egitto, dopo l’irrisolto problema degli Scopazzi del melo ecco arrivare quello della Flavescenza dorata. È forse la risposta alla prospettata grande opportunità per l’economia, il passaggio dalla monocoltura della mela alla viticoltura, in Val di Non? Forse sono i nodi che arrivano al pettine di chi pensa che per fare un’agricoltura sana in un ambiente malato basti diversificare la tipologia delle colture.

Chiediamo agli agricoltori se per “prepararsi al futuro” intendano tornare indietro. La storia del ritorno alla viticoltura abbandonata alla fine dell’Ottocento o quella dei vitigni resistenti propinata ai viticoltori, che, è il caso di dirla, se la bevono proprio tutta, non è un modo di custodire l’ambiente. Ricerca ed innovazione non possono rimanere una promessa. A Trento, dalla piazzetta Gaismayr dedicata al capo della rivolta contadina (1490-1532) di alza una flebile voce “svegliatevi, i vostri antenati reagivano allo sfruttamento egoistico della natura che porta alla morte della stessa.” Bonifica, sfruttamento oculato e controllato del territorio, bene comune in armonia con i bisogni individuali erano ciò che vollero perseguire i contadini del tempo, il che significò un generale rinnovamento della società.

Oggi non è più tempo di rivolte, battaglie, guerre e guerriglie o, meglio, la Natura chiede un’inversione della tendenza. Non è più tempo di discussioni, calunnie e menzogne. La Natura chiede un’alleanza. E chiede di abbandonare in generale il carattere di sfruttamento: sfruttamento ambientale, delle risorse naturali, delle foreste, del suolo riferito all’agricoltura intensiva ma anche alle operazioni colturali stesse poiché rientrano in definitiva in un modello industrializzato di agricoltura che altera profondamente gli ecosistemi.

La fabbrica delle mele e a seguire quella dell’uva, costruite con la chimica senza tener conto dei processi biologici e senza basi scientifiche adeguate, non sono un modello agroecologico da perseguire.

Il Perché delle monocolture

L'agricoltura commerciale ovvero l’agricoltura di tipo industriale è il grembo delle monocolture. E non solo per le aree più vaste ed i terreni più produttivi che la contraddistinguono, ciò che muove è lo sfruttamento di questi. Trascorsi 500 anni dalla rivolta contadina tirolese e dall’assassinio del tedesco Michael Gaismayr in quel di Padova, nulla è cambiato.
Cambiano solo le forme con le quali si manifesta il movente: I have money.

A stravolgere gli equilibri agroambientali, cancellando paesaggi e biodiversità, a rendere difficili gli approvvigionamenti e aspra l’economia agroalimentare è la logica perversa delle monocolture: I have money.

Il passaggio dal mondo contadino all’imprenditoria agricola è avvenuto sulla base di questa promessa: I have money.

Monocolture-monocultures-I-have-money.jpg

Per questo le monocolture hanno trasformato il prodotto agricolo in commodity determinando importanti conseguenze in campo agricolo e ripercussioni sociali, economiche, politiche ed ecologiche.

Il Come delle monocolture

Vediamo ora come la massimizzazione del risultato economico ha inciso sull’ecosistema.

Monocolture intensive

Nel nostro continente, ma anche nel mondo intero, lo sviluppo delle monocolture è avvenuto in seguito alla pratica dell'agricoltura intensiva, che vede la produzione di un’unica coltura su delle aree molto estese, facendo largo uso di tecnologie avanzate, macchinari e prodotti chimici che hanno permesso di ottenere delle rese per ettaro molto elevate.

Non si è però tenuto conto degli impatti ambientali, compresa la vita degli agricoltori. Parliamo dell’abuso della chimica.

Quello che appariva come fonte di lavoro e di attivazione economica ha in realtà lasciato spazio alla compromissione delle risorse naturali e la negazione delle stesse alle successive generazioni.

Abuso della chimica e distruzione del suolo

La terra non perdona. Sono le parole di Carlo Petrini per farci capire la distruzione del suolo causato dall’abuso della chimica, ma basta un occhio sui prodotti appassiti del supermercato. Lo sperimentiamo ogni giorno quando apriamo la bocca per gustare quei senza gusto, incapaci di conservarsi perché prossimi a marcire. Sono i prodotti di una terra prossima alla sterilità.

Prodotti-agricoli-prossimi-a-marcire.jpg

Land Grabbing

Con la distruzione del suolo, in parallelo ecco il fenomeno dell’accaparramento di terre fertili (Land Grabbing) nei Paesi sottosviluppati, da sfruttare inesorabilmente, insieme alle popolazioni locali, tradizionali ed indigene che vi lavorano. In un decennio sono 33milioni gli ettari assoggettati.

Caccia all’insetto vettore, segno di una morente ricerca scientifica

Dall’Università Cialtroni ecco il battesimo dell’ennesimo insetto vettore da combattere a suon di insetticidi. Gli agenti fitopatogeni sono la frontiera, non un passo oltre il monitoraggio, appena la visione della superficie. Il monitoraggio è la nuova caccia alle streghe, nel Medio Evo della Scienza. Lotta obbligatoria a parte, cosa può offrire la morente ricerca scientifica all’agricoltura morente? Il funerale del vegetale: l’estirpo. Nel frattempo, gli agricoltori ci chiamano perché gli hanno trovato l’Autan nei prodotti agricoli.

Declino degli impollinatori

La monocoltura è una vera e propria minaccia per le api e gli insetti impollinatori in genere, in quanto le pratiche legate all’agricoltura intensiva ne compromettono la sopravvivenza. Lo dimostrano la presenza di pesticidi nella cera degli alveari e la mancanza di risorse nutritive limitate al periodo di fioritura della monocoltura. La mancanza di nettari diversificati segna la perdita di biodiversità in campo agricolo e di integrità biologica del Pianeta. La monocoltura e l’abuso di agrofarmaci ne sono fautori. Adottare un albero o un alveare non sono certo soluzioni. I corridoi ecologici ed i piani di conservazione sono pure illusioni scritte a tavolino.

Il degrado delle popolazioni selvatiche

In Europa l’agricoltura industriale è responsabile oltre che della diminuzione di impollinatori, anche della diminuzione del 43% degli habitat degli uccelli selvatici. Le monocolture di mais stanno causando il declino della lepre bruna europea.
Le specie in via di estinzione sono dovute alla perdita dell’habitat, allo sfruttamento, all'inquinamento, allo sviluppo delle patologie e all’introduzione di specie invasive come conseguenza dell’agricoltura intensiva.

Monocoltura-mais-maize-monocultures.jpg

Deforestazione e disboscamenti

L’aumento della domanda di taluni prodotti agricoli in uno o più Paesi che non li producono ha provocato dei veri e propri fenomeni di deforestazione in altri Paesi divenuti produttori. È il caso del cacao, delle banane, della soia, del cotone o di tanti altri prodotti per i quali non sono state adottate politiche restrittive su cui basare gli accordi commerciali internazionali.

Eppure, sempre a causa del movente sopra citato, ciò ha ispirato anche zone rurali più ristrette all’interno di una stessa Nazione. Tornando in Trentino, nella Valle di Non non c’è angolo dove non si sia disboscato in favore dei famosi “ritocchini”, ossia quelle sistemazioni agrarie dei terreni declivi, in funzione dell’espansione della coltivazione delle mele. E ciò vale anche per la cosiddetta viticoltura di montagna che all’insegna dell’amore per la terra ha esaltato angoli impervi ed indisturbati della Valle di Cembra, Valle Lagarina, Valli Giudicarie, e molti altri, dove non si sono ancora manifestate perdite indotte dallo sfruttamento del territorio, dunque non raggiunte dalle malattie o non ancora troppo sofferenti al riscaldamento globale.

Ripercussioni idro-ecologiche

Da lago di Serraia in Trentino a quello di Vico, Bracciano e Bolsena di Lazio, Umbria e Toscana, ossia dalla coltura delle fragole di montagna della Sant’Orsola ai noccioleti della Ferrero, ad emergere sono le ripercussioni ambientali:

  • Il consumo sconsiderato delle risorse idriche causante l’abbassamento dei valori massimi della falda acquifera
  • l’inquinamento delle acque da nutrienti e fitofarmaci utilizzati nei trattamenti delle colture che percolano nella falda che alimenta i laghi
  • l’avanzato stato di eutrofizzazione delle acque ed il conseguente danno all’ecosistema, alla pesca e alla balneazione

Ripercussioni che la Sant’Orsola con i suoi mirtilli a residuo zero e la Ferrero con le sue inflazionate nocciole tossiche non possono eludere.

Le ordinanze sull’uso dei fitofarmaci

La regolamentazione dell’utilizzo e dello spandimento di diserbanti/fitosanitari/pesticidi/concimi chimici e fertilizzanti nei territori delle monocolture (che si limitano alle distanze dai corsi d’acqua e centri abitati ed ai periodi di sospensione durante la fioritura e in pre-raccolta) e le sanzioni conseguenti agli accertamenti delle violazioni delle norme istituite non sono misure idonee e sufficienti a tutelare l’ambiente, la salute pubblica e la sicurezza sul lavoro né tantomeno ad attuare una conversione agroecologica del territorio e la ripresa dell’ecosistema.

Fitosanitari-monocolture-pesticides-monocultures.jpg

L’avanzata delle monocolture in Italia

L’avanzata delle monocolture in Italia, vede ancora la zona del Prosecco in Veneto difesa dal titolo di Patrimonio dell’Unesco che è passata dagli iniziali 108 ettari (poco più di un km quadrato) di produzione Conegliano Valdobbiadene D.O.C.G. di Valdobbiadene ad un’estensione dell’area di produzione con il Prosecco D.O.C. su 9mila ettari che ha superato poi i 24mila ettari su 9 province di Veneto e Friuli, in barba ai decantati “terroir” che caratterizzano i vini.

Nel Viterbese, è la monocoltura dei noccioleti che ha stravolto il paesaggio soppiantando boschi, pascoli e campi dove trovavano dimora altre coltivazioni, mettendo a repentaglio ambiente e salute per l’uso incontrollato di pesticidi, fungicidi e fertilizzanti di sintesi. Lo slogan “Ti amo Italia” dell’accoppiata Nutella-Ferrero non ha buttato sufficientemente fumo negli occhi.

In Umbria e nell’Alto Tevere è la monocoltura intensiva del tabacco a generare il degrado del suolo, l’estinzione della biodiversità e, data l’alta percentuale di tumori sul territorio, anche quella delle persone.

Al Sud, in Puglia la morente monocoltura degli ulivi testimonia l’eredità delle monocolture. Qui lo sfacelo ambientale è in odore di desertificazione.

Le monocolture in Europa e nel Mondo

Le monocolture industriali in Europa sono aumentate fino ad assorbire la metà dei terreni agricoli. Terreni che risultano in mano al 3% delle aziende agricole.
Nel mondo sono l’1% le aziende agricole che gestiscono i terreni coltivati. È una nuova forma di latifondismo, il latifondismo finanziario esercitato dai grandi gruppi che definiscono gli standard economici costringendo i coltivatori e la filiera ad adeguarsi ai prezzi che vengono imposti. E ciò significa crisi delle piccole e medie aziende non ancora passate nelle loro mani.

In Europa in dieci anni si sono persi 4milioni di piccole fattorie a favore di quelle che superano i 100 ettari ed è aumentato il problema dei suicidi tra i contadini, soprattutto in Francia. Inoltre, cresce il numero di persone obese e sono in aumento i casi di malattie collegate a cibi molto lavorati e a diete poco varie.

Nel Mondo sono tante le terre destinate alle monocolture industriali o, meglio, alla produzione di alimenti trasformati in commodities. Basta pensare alle piantagioni di banane in Costa Rica nate dall’espropriazione delle terre fertili e dalla distruzione delle foreste tropicali, coltivate chimicamente con fungicidi quali il Mancozeb e il Clorotalonil e violando i diritti umani.

Monocolture-intensive-intensive-monocultures.jpg

Lo stesso vale per la Palma da Olio, in Guatemala e nell’America Latina, nel Borneo (Indonesia), Malesia e in Africa che ha visto la distruzione di milioni di ettari di foreste (il 40 % della deforestazione globale) con la complicità della politica europea e di chi si è impegnato nella retorica dello sviluppo.

Vale anche per le Arachidi (Noccioline americane) prodotte in Senegal con il 40% delle terre coltivate ed il trasferimento dei profitti in quella Francia che ora respinge le migrazioni. Arachidi per festeggiare Santa Lucia o l’happy hour ma anche per l’olio d’arachidi utilizzato nella produzione del famoso sapone di Marsiglia.

Si potrebbe parlare a lungo, ad esempio sulla soia, la monocoltura estesa in diversi Paesi utilizzata per l’alimentazione umana ed animale ed anche per altri usi industriali. Ma qui dovremmo tirare in campo gli OGM e le politiche governative.

Monocolture: iperproduzione standardizzata e grande distribuzione

A soddisfare le nostre scelte alimentari, mentre passiamo da uno scaffale all’altro del supermercato, è l’efficienza delle coltivazioni intensive, delle monocolture insomma. Questo è il punto di vista dell’economia agroalimentare dominata dalla Grande Distribuzione Organizzata (GDO).
D’altronde come sarebbe possibile avere sempre a disposizione quegli alimenti senza forzare la mano sulla produzione in termini di tanti veleni, molta acqua e lavoro sottopagato? Come sarebbe possibile ottenere un cibo di bassa qualità, di omologazione gustativa, senza un’iperproduzione standardizzata?

Qualcuno spiegava che due forze reggono le persone, quella della voglia di avere e quella della paura di perdere. Vale anche per i consumatori.
Su questi due estremi, dai quali derivano anche i comportamenti d’acquisto (es. spendere poco per ottenere molto) si sviluppano i mercati e si originano i rapporti di forza nelle filiere agroalimentari.

Su questi due estremi reggono tutte le scelte, in ogni campo, in ogni tipo di relazione, anche quella dell’uomo con la Natura. Questi due estremi, profondamente connessi, però ci hanno condotto ad un punto di non ritorno. Sì, perché Uomo e Natura sono un ecosistema.
All’uomo, parte della Natura, non resta che un’Alleanza.

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