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Il Giardino Pantesco – il tesoro verde di Pantelleria

Il Giardino Pantesco – il tesoro verde di Pantelleria

08 novembre 2017 - BioAksxter®

Non solo le persone ma anche le piante possono avere una casa! Non ci credete?!?

Basta andare a Pantelleria, isola di origine vulcanica posta più o meno al centro del tratto di mare tra la Sicilia e la Tunisia, e verificare con i propri occhi. Questa è la terra dei colori: il blu del mare, l’arancio ed il giallo degli agrumi, il grigio scuro della roccia vulcanica – tipica dell’isola – e di costruzioni molto particolari conosciute come Giardini Panteschi (“jardini” in dialetto locale).

Strutturalmente si tratta di opere paragonabili a piccole fortezze. In tutta l’isola di Pantelleria ve ne sono circa 400, la maggior parte a pianta circolare ma ne esistono anche quadrate e irregolari.

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I Giardini Panteschi: cosa sono esattamente?

In riferimento ai Giardini di Pantelleria, la parola fortezza non è usata a caso in quanto si tratta di manufatti, sostanzialmente delle torri, che cingono completamente la pianta all’interno – in genere una, raramente 2 o 3 – abbracciandola e proteggendola con mura a secco di pietra lavica alte fino a 4 metri.

Il loro unico scopo è quello di proteggere l’albero posto all’interno che, a seconda dei casi, può essere un arancio, un mandarino, limone o cedro. La costruzione ha un’unica stretta apertura per accedervi e piccoli sbocchi alla base per consentire il passaggio dell’acqua piovana.

Spesso la sommità delle mura è inclinata verso l’interno per consentire un miglior passaggio dei raggi solari. Queste, inoltre, trattenendo l’umidità notturna al loro interno, consentono di creare le condizioni microclimatiche adatte ai vegetali in modo da farli resistere meglio alla siccità.

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Ma perché tanta fatica per costruire un manufatto che racchiude una sola pianta?

Non è semplice rispondere! Bisognerebbe essere degli isolani come i Panteschi, abituati da sempre a fronteggiare un’ambiente difficile ed a volte avverso, faticando sette camicie per strappare alla Natura poco più che fazzoletti di terreno coltivabile. Un lavoro complicato ma necessario, soprattutto su un lembo di terra in mezzo al mare, che basa la propria sussistenza sui prodotti ittici e poco più.

Una terra difficile da coltivare dove venti impetuosi che sferzano l’isola e un sole cocente hanno creato la necessità e stimolato l’ingegno di antichi contadini che secoli fa concepirono tali strutture.

La sacralità del giardino pantesco

Il giardino pantesco trasmette quasi un sentimento di sacralità come un monumento di pietra dedicato alla pianta che protegge. Lo potremmo definire un “giardino archetipo” dove la mano dell’uomo, una volta tanto, interviene sul paesaggio con rispetto ed intelligenza, coniugando con equilibrio i propri bisogni di sussistenza col contesto agroambientale. E la proprietà del giardino, così come la sapienza nel costruirlo, è trasmessa di generazione in generazione a riprova del fatto che si tratta di un bene – una sorta di scrigno che custodisce un tesoro verde – che appartiene intimamente alla propria famiglia e come tale deve essere tramandato.

Giardino pantesco Donnafugata

Pantelleria, spesso chiamata la Perla Nera del Mediterraneo, è un’isola speciale anche per questo; non a caso nella zona di Khamma, presso l’Azienda vitivinicola Donna Fugata, c’è un antico “jardino” dichiarato patrimonio Unesco. Questo ricade nella zona delle “viti ad alberello” di uva Zibibbo, prima coltivazione e pratica agricola al mondo ad entrare nella prestigiosa lista dei Patrimoni Culturali dell’Umanità.

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Pantelleria, isola di contadini eroici

Isola di Pantelleria è una terra speciale abitata da valenti contadini-architetti che da secoli costruiscono manufatti da far invidia alle più moderne realizzazioni. Infatti, anche se antichissimi, i giardini di Pantelleria rappresentano uno splendido esempio di struttura estremamente attuale, costruita secondo i più avanzati dettami della bioarchitettura: ecocompatibile, non consuma energia, inserita perfettamente nel paesaggio, realizzata con materiali a km 0 … E sì, abbiamo ancora molto da imparare dai nostri antenati!

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