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Greenwashing nel cibo: cos'è, come funziona e perché dovresti informarti
Hai mai comprato un prodotto agricolo con un’etichetta che riportava “100% naturale” o “eco-friendly” sentendoti sicuro di fare la scelta giusta per l’ambiente e per te stesso? Un supermercato affollato, uno scaffale pieno di prodotti colorati e quella scritta che cattura subito il tuo sguardo: sostenibile. Immagina di acquistare una confezione di mele con una bella foglia verde stampata sopra, solo per scoprire, mesi dopo, che il consorzio dalla quale proviene è accusato della presenza di pesticidi fuori dai limiti consentiti dalla legge. Questo è il greenwashing: una strategia di marketing sempre più diffusa, in cui le aziende si “tingono di verde” anziché evitare le loro pratiche inquinanti.
Non sei solo. Sempre più persone cercano prodotti “green”, ma il confine tra reale sostenibilità e promesse ingannevoli si fa sempre più sottile.
Che cos'è il Greenwashing nel settore agroalimentare?
Il greenwashing è una pratica scorretta che inganna i consumatori facendoli credere che un prodotto o un'azienda siano più ecologici di quanto lo siano realmente. Deriva dalla combinazione delle parole inglesi "green" (verde) e "whitewashing" (imbiancare) e indica, letteralmente, un'operazione di "imbiancatura verde": un tentativo di nascondere comportamenti dannosi per l'ambiente dietro una falsa immagine ecologica.
Esempi concreti di Greenwashing nel settore agroalimentare
Come funziona il greenwashing nel cibo? Ecco alcuni esempi:
- Alcune aziende agricole dichiarano di adottare il metodo biologico, ma utilizzano comunque dei prodotti per l’agricoltura che non sono ammessi in regime biologico. Di conseguenza vi sono dei residui chimici oltre i limiti di legge nella frutta e nella verdura. Un abuso che consente di beneficiare dell’immagine positiva del biologico.
- Nonostante la crescente domanda di prodotti agricoli biologici, i controlli nel settore sono insufficienti, frammentati o poco trasparenti.
- Il sistema delle certificazioni agroalimentari, pur essendo nato per garantire standard di qualità e sostenibilità, presenta numerose falle che lo rendono vulnerabile al greenwashing. Alcune aziende ottengono certificazioni rispettando solo i requisiti minimi, senza garantire un impatto ambientale realmente ridotto. Inoltre, la proliferazione di certificazioni private e autoreferenziali crea confusione nei consumatori, dando l’illusione di una maggiore sostenibilità senza un reale controllo sull’intera filiera produttiva. In molti casi, le certificazioni diventano un semplice strumento di marketing, piuttosto che una garanzia di trasparenza e qualità.
- Comprare direttamente dal contadino della zona (km zero) non garantisce che il prodotto agricolo sia privo di pesticidi e coltivato in modo sostenibile. Anche i piccoli agricoltori possono usare prodotti fitosanitari come quelli delle grandi aziende agricole. Inoltre, la mancanza di controlli rigorosi nelle vendite dirette al consumatore aumenta il rischio di pratiche non conformi.
- Alcune aziende stringono partnership con organizzazioni ambientali per ottenere il supporto di iniziative “green” che di fatto rappresentano solo una minima parte del loro operato. Ad esempio, una donazione per riforestare una zona viene usata come strategia di marketing per nascondere pratiche agricole non sostenibili su larga scala.
- Alcuni marchi di carne, uova e latticini pubblicizzano pratiche “rispettose degli animali”, “a basso impatto ambientale”, ma un’analisi più approfondita rivela che queste affermazioni sono prive di fondamento o si riferiscono ad una minima parte della produzione totale.
- Alcune aziende sottolineano un aspetto del loro prodotto (ad esempio, “confezione riciclabile”) per spostare l’attenzione da certe pratiche inquinanti nella produzione.
Perché il Greenwashing è pericoloso per i consumatori e per l’ambiente?
Quando un’azienda pratica il greenwashing nel contempo crea disinformazione e sfiducia nel consumatore. L’assunzione giornaliera anche a bassi livelli di pesticidi causa in primis disturbi gastrointestinali, allergie e irritazioni. L’assunzione ripetuta di frutta e verdura apparentemente “naturale” ma coltivata con pesticidi sintetici o sostanze inadeguate compromette il sistema immunitario, aumentando la vulnerabilità ad infezioni o infiammazioni.
Studi scientifici collegano l’esposizione cronica a pesticidi ad un aumento del rischio di patologie gravi come il cancro, malattie neurodegenerative (ad esempio Alzheimer e Parkinson) e disturbi endocrini.
L’accumulo di metalli pesanti nell’organismo è collegato a ritardi nello sviluppo nei bambini, problemi cognitivi e malattie neurodegenerative negli adulti.
Dal punto di vista ambientale, il greenwashing è ancora più insidioso perché ostacola il cambiamento necessario verso una produzione ed un consumo realmente sostenibili. Le aziende che investono nel green-marketing piuttosto che in pratiche realmente ecologiche continuano ad inquinare, contribuendo al cambiamento climatico.
Coltivazioni ed allevamenti malsani mascherati da pratiche sostenibili continuano a distruggere habitat naturali, riducendo la biodiversità ed alterando gli equilibri degli ecosistemi indispensabili per la vita umana.
Il greenwashing contribuisce a perpetuare pratiche agricole che impoveriscono il suolo, inquinano le riserve idriche e l’aria che respiriamo. Questo tipo di degrado riduce la capacità degli ecosistemi di rigenerarsi, aumentando la dipendenza da input esterni e accelerando il collasso ecologico.
La psicologia del Greenwashing: perché ci caschiamo?
Il greenwashing non si basa solo su strategie di marketing ben studiate, ma sfrutta anche i meccanismi psicologici che guidano le nostre decisioni di acquisto. È un fenomeno che si inserisce nella complessa interazione tra percezione, emozioni e comportamento umano, inducendoci a credere che stiamo facendo scelte più sostenibili di quanto non sia in realtà.
Possiamo chiamare questo fattore come una “sete di sostenibilità”. In un mondo sempre più consapevole dei problemi ambientali, i consumatori vogliono sentirsi parte della soluzione.
Inoltre, dobbiamo considerare l’effetto delle etichette e delle immagini. Gli esseri umani sono creature visive. Colori come il verde, immagini di alberi, foglie o animali evocano immediatamente associazioni positive con la natura. Questo sfruttamento delle associazioni visive è uno dei pilastri del greenwashing.
Un altro aspetto chiave del greenwashing è la nostra tendenza a fidarci di marchi famosi o tradizionali. Se un’azienda affermata promuove un prodotto come “ecologico”, spesso non mettiamo in discussione questa affermazione.
Greenwashing in agricoltura: come distinguere la vera sostenibilità
Se il greenwashing inganna i consumatori con etichette verdi e slogan accattivanti, è possibile individuare modelli di business che siano realmente sostenibili? In effetti, non tutti i produttori si limitano ad operazioni di marketing: alcune realtà adottano approcci basati su dati scientifici, attività di ricerca e risultati tangibili.
In questa direzione si inserisce la ricerca della nostra azienda, AXS M31, che da oltre vent’anni opera per il settore agroambientale, sviluppando soluzioni innovative per il benessere di tutti gli esseri viventi. Dagli anni 2000 in poi, studi e sperimentazioni hanno evidenziato come la composizione di BioAksxter® priva di composti organici e di ioni inorganici potenzialmente inquinanti, fosse particolarmente indicata per l’agricoltura biologica e che evitasse il fenomeno dell’eutrofizzazione delle acque marine ed interne. L’impiego regolare di questa formulazione ha dimostrato di rafforzare il metabolismo energetico delle piante, incrementandone le difese naturali e riducendo notevolmente la necessità di trattamenti convenzionali.
A distanza di oltre vent’anni, queste evidenze scientifiche si dimostrano ancora più attuali. Oggi, la sfida non è solo ridurre l’impatto ambientale dell’agricoltura, ma rigenerare gli ecosistemi agricoli per garantire rese produttive senza compromettere la salute del suolo.
Dalla salute del suolo alla qualità degli alimenti
Uno degli aspetti spesso trascurati nel dibattito sul greenwashing e sulla sostenibilità alimentare è la salute del suolo. Il degrado dei terreni agricoli porta a frutta e verdura meno nutrienti e ad un aumento della dipendenza da sostanze di sintesi. Come ben sappiamo, diversi studi hanno dimostrato come un suolo impoverito abbia effetti diretti sulla qualità dei prodotti coltivati e, di conseguenza, sulla salute umana.
BioAksxter®, invece, si basa sul principio opposto: permette una coltivazione libera da sostanze dannose, con effetti decisamente positivi sulla qualità dei prodotti agricoli. Un vero vantaggio sia per il consumatore sia per l’ambiente.
La vera differenza, quindi, sta nell’approccio: una sostenibilità dimostrabile e misurabile, basata su una ricerca innovativa e su risultati concreti, piuttosto che su etichette accattivanti. Il tutto accertabile con le analisi multiresiduali.
Meno promesse, più risultati: è così che si supera il greenwashing. Per un’agricoltura veramente sostenibile, servono fatti, non parole.
Normativa Europea sul Greenwashing
Nel gennaio 2024, il Parlamento Europeo ha approvato una direttiva (2024/825) mirata a contrastare il greenwashing, imponendo regole più severe sulle dichiarazioni ambientali dei prodotti. Questa direttiva vieta l'uso di affermazioni ambientali generiche come "rispettoso dell'ambiente", "verde" o "naturale" se non supportate da prove concrete. Le aziende devono fornire evidenze scientifiche a sostegno delle loro dichiarazioni ecologiche, garantendo trasparenza e affidabilità per i consumatori.
Gli Stati membri dell'UE hanno tempo fino al 27 marzo 2026 per recepire le disposizioni della direttiva nelle rispettive legislazioni nazionali, con l'obiettivo di rendere operative le nuove norme entro il 27 settembre 2026.
In Italia, attualmente non esistono normative specifiche dedicate esclusivamente al greenwashing. Tuttavia, il Decreto Legislativo n. 254 del 2016, che recepisce la Direttiva 2014/95/UE, impone alle grandi imprese l'obbligo di divulgare informazioni di carattere non finanziario, inclusi dati ambientali, sociali e relativi al personale, al fine di garantire trasparenza nelle loro attività.
Ora sorge spontanea una domanda: tutto questo è davvero risolutivo? Se le normative esistenti impongono trasparenza, perché continuiamo a vedere casi eclatanti di greenwashing? Il problema è che, senza controlli stringenti e sanzioni esemplari, molte aziende trovano ancora conveniente investire in marketing “verde” piuttosto che in vere pratiche sostenibili. Inoltre, la maggior parte delle normative riguarda solo le grandi imprese, lasciando fuori un’intera fetta del mercato.
E il consumatore? Deve districarsi tra etichette ambigue e promesse poco verificabili, affidandosi ad una scarsa capacità di discernimento. In un mondo sommerso da messaggi pubblicitari ingannevoli, non dovrebbe essere la legge a garantire una reale tutela dell’ambiente e della salute pubblica?