Compostaggio Umano: sorgono dubbi per l'agricoltura moderna
Mentre stiamo scrivendo sull’importanza delle modalità di compostaggio del letame, giunge la notizia del compostaggio umano, già legalizzato in vari Stati americani. Con una grande differenza, non si tratta di compostare le feci e le urine dell’uomo, bensì l’intero corpo, il morto insomma.
È un affare di miliardi di dollari definito riduzione organica naturale in cui la capacità di collocare sul mercato il prodotto come alternativa ecologica alla sepoltura e alla cremazione punta sul “riduce l’impatto ambientale, è meno caro e più ecologico” e sulla consapevole urgenza dei cambiamenti climatici. Sostanzialmente il cadavere viene adagiato su un letto di terra con erbe e petali, posto in una struttura contenitiva (bioreattore) e sottoposto ad una frenetica attività microbica (aerobiosi mediante adduzione di ossigeno) per accelerare la decomposizione del morto, per essere infine usato per concimare 30 mq. di suolo.
La notizia pone immediate curiosità sul fenomeno sociale e sul concetto di sviluppo sostenibile, rientrando nella casistica del degrado ambientale e nel prezzo sostenuto dal territorio e pagato con la salute delle persone. Su questo già si è espresso Roberto Saviano a proposito dei rifiuti tossici gestiti con il “giro di bolla” … “Una delle cose più impressionanti è che alle volte le organizzazioni riescono non solo a nascondere i rifiuti tossici, ma addirittura a trasformarli in fertilizzanti da vendere!”
All’insegna dell’economia circolare, il compostaggio umano è forse un modo per rendere legale ciò che è illegale?
Il concime umano finirà soltanto nell’orto e nel giardino dei parenti o finirà pima o poi anche nei campi agricoli?
Il morto può essere considerato una matrice idonea a produrre concime capace di preservare gli equilibri ambientali o si configura come un apporto al suolo di sostanze di rifiuto nocive e pericolose?
Se è vero che la qualità dei materiali di partenza influenza in modo determinante la qualità del compost finale, questa del compostaggio umano può essere considerata una pratica di contaminazione dei suoli e come tale, in grado di produrre danni biologici grazie alle sostanze inquinanti come metalli pesanti, sostanze inerti non biodegradabili, microorganismi patogeni e sostanze fitotossiche, ecc. poi veicolate all’organismo attraverso il cibo.
Dunque, il caro nonno compostato potrebbe essere fautore di adattamenti epigenetici per le successive generazioni, o la prova della nostra resilienza alla diffusione della follia umana.
La comunità scientifica non si esprime e, occupata com’è fra un covid trasformista e Ippocrate, non riesce a guardare avanti.
Per quanto riguarda il contesto agronomico, dato che su tutto campeggia il profitto e alla luce della nuova figura, quella di tecnico del disinquinamento, possiamo immaginare l’evoluzione del piano d’intervento per una innovativa azienda agricola, con il numero dei cadaveri ad ettaro invece dei kg di fertilizzante. I conti sono presto fatti, se con un morto compostato si possono concimare 30 mq. di suolo, servono 333 cadaveri compostati per concimare un ettaro di terreno agricolo …